L’Avversario di Emmanuel Carrère è uno dei più fulgidi esempi di storie-vere-ma-inverosimili, un intreccio che si faticherebbe ad accettare se fosse un prodotto di fiction. Eppure è un’intera esistenza successa per davvero e trascinata attraverso i decenni con una successione di eventi che solo in apparenza sembrano anacronistici. Questo cosiddetto romanzo-verità ha ottenuto un grande successo non solo oltralpe, ma mi ha lasciato una sensazione finale amara, non solo per via delle atrocità narrate.
Trama de L’Avversario riassunta in una frase – Emmanuel Carrère racconta la vita di Jean Claude Romand, che non completa gli studi in medicina e lo nasconde mentendo ai propri amici e affetti: in una veloce discesa verso gli abissi si crea una carriera fasulla, diventa un truffatore seriale, finché la situazione precipita e fa fuori tutti dalla moglie ai figli fino ai genitori.
Sono entrato in contatto con lui e ho assistito al processo. Ho cercato di raccontare con precisione, giorno per giorno, quella vita di solitudine, di impostura e di assenza […] di capire, infine, che cosa, in un’esperienza umana tanto estrema, mi abbia così profondamente turbato – e turbi, credo, ciascuno di noi.
L’Adversaire è apparso sugli scaffali nel 2000 dopo una lunga gestazione iniziata con i processi dell’estate 1996 a Bourg-en-Bresse e l’indecisione dell’autore su quale tipo di narrazione intraprendere: dal punto di vista dell’assassino o da quello degli amici o magari con un narratore che nulla sa? Alla fine, Carrère si è inoltrato nell’unica via che si poteva già prevedere ovvero di sfruttare storie altrui per parlare di se stesso, alimentando un narcisismo ipertrofico e dilagante. E così questo romanzo-verità si è trasformato in una sorta di diario in cui Carrère riprende la sequenza dei fatti, ricostruisce i processi e si sofferma sul proprio rapporto con Romand prima epistolare e poi anche di persona. Per buona parte della lettura una domanda galleggiava fissa:
perché Carrère ha deciso di scrivere questo libro?
Si tratta per caso di un lavoro di servizio per chi vuole in un unico spazio un riepilogo dettagliato della vicenda? Qual è il valore aggiunto de L’Avversario? A differenza di molti recensori e lettori non ho trovato una gran profondità nell’approccio all’universo di Romand, del quale impariamo a conoscere quasi ogni sfaccettatura sia stata resa pubblica, ma che rimane un mostro mitologico stanco e annoiato, che incombe sul panorama ma da molto distante, come una montagna lontana che si può distinguere dal cielo solo per un po’ di neve in cima. Il più del tempo ho percepito un interesse dell’autore simile a quello degli automobilisti che rallentano per sbirciare l’incidente dall’altro lato della carreggiata, qualcosa di molto intenso sul momento, ma che passa poi in secondo piano visto che incombono le altre cose della vita.
Si può dunque considerare proprio Carrère il valore aggiunto? Secondo me no, anzi tutto il contrario perché per troppe pagine trasuda un’atmosfera da riassuntone anche un po’ annacquato quando invece sarebbe stato necessario fermarsi e esplorare altre vie, per esempio verificando molte dichiarazioni, visitando più posti citati da Romand, recuperando persone che lo hanno in qualche modo incrociato. Tutto questo perché ci si trova davanti a un bugiardo seriale, che ribalta e manipola ogni realtà e ogni fatto a suo piacere e si sarebbe potuto combattere in modo più utile addentrandosi nel suo mondo. Insomma, cercando di offrire al lettore qualcosa di più che un elegante contenitore di qualcosa di rimpastato.
VOTO: 5/10
