Recensione La suora giovane di Giovanni Arpino: un piccolo capolavoro

Bisognerebbe avere la fortuna di immergersi più spesso in letture come la La suora giovane di Giovanni Arpino (apparso con Einaudi nel 1959) perché per tre/quattro ore ci si può addentrare in una storia bilanciata, che narra uno specifico periodo storico in un’ambientazione precisa ovvero la Torino invernale e grigia a inizio boom economico post-bellico, accompagnati da una prosa raffinata ed elegante senza essere stucchevole. Arpino insegna anche come gestire un finale aperto nel migliore dei modi.

Riassunto de La suora giovane di Giovanni Arpino in una frase – Torino, dopo giorni di giochi di sguardi sul tram 21, le solitudini del quarantenne impiegato Antonio “niente travestito da uomo ammodo” e della novizia ventenne Serena si mescolano prendendo colore e tepore, seduti su un pianerottolo, cercando di deviare le traiettorie delle proprie orbite.

La strada è ghiacciata, deserta, la tromba suona nel cortile della caserma, eccomi al corso. Il fiato gelido del fiume manda frange di nebbia contro i rami degli alberi, i fanali sono aureolati da un fumo cangiante, le auto ammiccano da lontano. Ecco la pedana del tram, ecco lei. Sta diritta, immobile, minuta, non aspetta il tram, aspetta me.

Narrata come un diario, questa storia delicata accarezza due momenti di consapevolezza. Quella di Antonio arriva tardi, ma non così tanto come il protagonista maschile immagina: a quarant’anni si rende conto di trovarsi in una situazione di stallo, che lo trattiene in una sensazione di fine corsa della vita, senza più niente da poter cambiare con una vacua e insoddisfacente routine settimanale condita da colleghi rozzi e una fidanzata storica con la quale condividere serate al cinema per coprire il silenzio di fondo. La consapevolezza di Serena arriva precoce, è più prorompente e propositiva, ma necessita della scintilla per infiammarsi ed esplodere, deviando verso una direzione diversa da quella che sembra ormai consolidata sul proprio tracciato.

Antonio è un uomo che precorre i tempi, perché dal suo 1950 sembra un riflesso di molti quarantenni degli anni ’20 di questo secolo, che galleggiano nelle proprie esistenze pensando di essere ancora ventenni salvo poi rendersi conto all’improvviso di essere ben oltre la boa, senza mai prendere una decisione, aspettando e, dunque, subendo che le prendano gli altri. Non lascia la fidanzata storica – che è in realtà una amica con asterisco – attendendo che lo faccia lei, ma magari potrebbero anche sposarsi e invecchiare insieme. Lo stato d’animo di Antonio è rappresentato dal gelido e umido inverno senza colori di una Torino piatta e nebulosa.

Questa è la seconda edizione del romanzo

L’incontro con Serena rappresenta l’occasione di redimere una vita inutile per Antonio, che però si prende tanto tempo prima di trovare il coraggio di andare oltre un infantile seppur romantico gioco di sguardi sul tram. Antonio e Serena si parlano, finalmente, e lo fanno di notte, sul pianerottolo di un palazzo non lontano dalla stanza dove un uomo sta morendo: la novizia non vuole diventare suora, non vuole tornare a Mondovì dai genitori contadini. Antonio comprende che vuole salvarla perché così può salvarsi anche lui.

Non so niente. I giorni mi sono scappati via come le notizie dei giornali, a cui credi e non credi

Un breve e piccolo capolavoro questo romanzo, che insegna come la semplicità di una trama ben costruita e calibrata possa toccare più corde condivise, attraversando i decenni per risultare sempre attuale, i personaggi sono costruiti con cura amorevole, nei loro lati luminosi e oscuri. Il finale è aperto, ma è piuttosto chiaro dove andrà a parare e apre scenari inaspettati e realtà differenti da quelle che si immaginavano: Arpino lo costruisce con mestiere, perché fornisce tutte le informazioni per permettere al lettore di decidere – se vuole – cosa succederà.

Voto: 9

Giovanni Arpino merita di essere riscoperto dai lettori moderni che ancora non conoscessero un autore così prolifico, peraltro anche premiato – ha vinto lo Strega nel 1964 con L’ombra delle colline – e così poliedrico visto che ha spaziato dal giornalismo alla narrativa (anche per ragazzi) fino alla poesia e al teatro.

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