C’è una precisa frase di Tasmania di Paolo Giordano che appare a circa tre quarti del romanzo e che ha impresso un piccolo solco a proposito del destino di questa storia così come tante altre. Una frase che fa da spartiacque netto tra la sensazione di godibile lettura che con un po’ di fatica si era trascinata fino a quel momento e l’improvviso affaccio su un ripido abisso.
Trama di Tasmania di Paolo Giordano in un paragrafo – Fisico/giornalista/scrittore torinese quarantenne in evidenti difficoltà coniugali cerca invano di terminare un romanzo sulle bombe atomiche americane sul Giappone. La sua doppia crisi personale risona con le varie crisi degli altri personaggi più la crisi climatica, la crisi dei valori. Crisi.
Come forse si sarà intuito dalla sintesi della trama, il tema centrale dell’ultimo lavoro di Paolo Giordano riguarda la crisi in pressoché ogni sfaccettatura. Inevitabile pensare al protagonista come un suo alter ego vista età, professione e dettagli vari, improbabile che sia un semplice riversamento dei propri fattacci, più verosimile che il lato autobiografico abbia prestato generosa ispirazione. Normale spingersi in queste associazioni con un autore così noto, ma in fondo non importa: la sostanza è che per quanto mi riguarda questo romanzo ha da subito accalappiato un certo interesse, che però ha iniziato a perdere colpi sotto lo striscione di metà percorso incontrando una voragine in occasione della già preannunciata frase. Questa:
Si faceva sempre piú largo il sospetto che non ci fosse davvero nulla di nuovo da dire, che non ci fosse nulla di nuovo che io potessi dire
Lo pensa il protagonista, quindi lo scrive Paolo Giordano, e per un momento questa frase si è sollevata dall’intreccio intrapreso fino a quel momento estendendosi in tutte le ramificazioni del raccontare qualcosa. E poi è calata nuovamente sulla pagina risultando troppo pesante e troppo ingombrante per ritornare al proprio posto senza conseguenze. È vero, ha ragione il protagonista e dunque l’autore: in questa storia non c’è nulla di nuovo che lui (uno dei due o entrambi) possa dire.
Sulla bomba atomica in Giappone si è già scritto tutto molto prima e molto più approfonditamente e questo lo evidenzia ancora una volta proprio Giordano: The Making of the Atomic Bomb di Richard Rhodes si era concentrato sul pre-esplosione vincendo il Pulitzer, mentre Hiroshima di John Hersey conteneva tutto il post. Si sono versati oceani di inchiostro sulla crisi dei quarant’anni, sulla crisi coniugale di coppie di qualsiasi età e più specificamente tra partner di età differenti, sulla crisi delle amicizie, sulla crisi creativa. Sulla crisi climatica si sconfina nel denso universo della saggistica.
Si dice che tutto è già stato raccontato già dai Greci e possiamo anche considerarlo vero, ma quel che fa la differenza sono sguardo e voce dell’autore, la sua capacità di creare personaggi guizzanti, trovare intrecci insoliti, eccetera, inutile proseguire l’elenco. Paolo Giordano scrive molto bene, segue l’eco di almeno un paio di pesanti autori francesi, la lettura è satinata e la mancanza di dialoghi diretti trattiene il ritmo. Ma può bastare solo questo? Sembrerebbe di sì visto che Tasmania ha vinto la Classifica di Qualità 2022 della Lettura, inserto del quotidiano dove scrive abitualmente proprio Paolo Giordano ovvero il Corriere della Sera (e con lui altri colleghi in top 10). Per quanto mi riguarda la riposta è no, niente affatto.
Mi ha particolarmente deluso la totale mancanza di chiusura di percorso di ogni personaggio: escono di scena uno dopo l’altro, da un momento all’altro, gettati via ai propri destini senza troppo riguardo. Lo stesso protagonista è spesso incoerente e non so quanto sia una scelta volontaria da parte dell’autore, un esempio su tutti è il gran numero di voli aerei intercontinentali presi senza un motivo imprescindibile, che cozza contro molte sue uscite ambientaliste.
Ho trovato sovrabbondante sia la quantità di temi trattati, o meglio sfiorati, sia il numero di piccoli aneddoti sul passato dei protagonisti: scelte poco funzionali a una storia fragilissima che vuole parlare di quanti più argomenti possibili e alla fine parla di niente.
Voto: 5/10
Mi dispiace molto, perché la prima metà del romanzo aveva sollevato buoni propositi e mi sono in qualche modo affezionato da subito alla piacevole scrittura di Giordano, ma a fine lettura sono troppi i punti a sfavore.