Non sono solito abbandonare libri durante le letture, mi sembra una mancanza di rispetto nei confronti dell’autore e di tutte le persone che ci hanno lavorato. Ma a volte la tentazione è forte e persistente e diventa quasi una violenza contro se stessi proseguire, come nel caso di Spatriati, il romanzo di Mario Desiati che si è aggiudicato il Premio Strega 2022. Dopo aver apprezzato davvero molto il precedente vincitore, Due Vite di Emanuele Trevi, mi ero approcciato a questo romanzo con buoni intenti, che si sono però irrimediabilmente sgretolati dopo poche pagine.
Trama di Spatriati in una frase – Martina Franca (Taranto), Francesco si invaghisce di Claudia, il suo opposto nonché la figlia dell’amante della madre, e la racconta dettagliatamente attraverso gli anni, seguendola nel suo percorso prima a Milano e poi a Berlino.
La voce narrante di Francesco trabocca di passione pura e fedele per Claudia sin dalle prime righe e ci si accorge subito di come si stia assistendo alla nascita di un rapporto che causerà cataclismi nella vita già molto confusa e impalpabile del giovane protagonista. Francesco è una di quelle persone che ti invita a bere un caffè e dunque ti sequestra, raccontandoti per ore e nei minimi dettagli tutte le puntate di tutte le stagioni di una serie che avevi scartato già dal titolo, comprendendo subito quanto fosse tediosa e dimenticabile. E così una domanda galleggiava persistente: perché si dovrebbe essere interessati alle vicende di queste due persone?
Ho trovato molto difficile provare empatia per entrambi i protagonisti. Il fragile e inconsistente Francesco non suscita un sentimento di protezione perché prosegue ostinatamente verso un cammino che sa benissimo che gli riserverà solo schiaffi in faccia a mani belle aperte eppure lo affronta quasi con sollievo e orgoglio; non so se era nelle intenzioni dell’autore renderlo il prototipo dello sfigato, ma il risultato è quello. Claudia è idealizzata a livello di una divinità quando al contrario è una delle milioni di persone che cercano di risultare originali e controcorrente seguendo sempre il solito copione già visto e rivisto.
Questo romanzo è intriso di luoghi comuni e di dialoghi stucchevoli e cerca di profumarsi di trasgressioni senza rendersi conto che potevano essere considerate tali mezzo secolo fa, ma che ormai sono parte della società (e non capirlo è preoccupante). Soprattutto, macchia di banalità e approssimazione tematiche che al contrario avrebbero richiesto un’attenzione più dedicata, su tutte quella si merita anche il titolo ovvero l’espatriarsi: ho vissuto parecchio all’estero e non ho trovato quelle tematiche che invece condividevo con tutte le altre persone che si trovavano fuori dalla propria patria come la gestione reale e concreta di come inserirsi in un’altra cultura e in un’altra lingua, la messa in discussione di certezze e abitudini, le sensazioni contrastanti di aver preso o meno la giusta decisione e così via.
In questo romanzo non c’è niente di tutto ciò. In compenso, Spatriati è popolato da un’incalcolabile quantità di avvenimenti, basta pescare un paragrafo a caso per rendersene conto: seguire il racconto di Francesco è come leggerne il diario personale, che accelera deciso nelle pagine che condensano settimane e mesi e poi rallenta per soffermarsi su momenti che ritiene precisi e determinanti per la propria esistenza. Si tende spesso a scrivere di ciò che si è vissuto e ciò che si conosce bene: leggendo la biografia di Desiati ipotizzo che ci sia molto dell’autore in ciò che viene riportato in questo romanzo, da qui forse la perdita di oggettività sull’eventuale importanza dei fatti descritti.
Dopo aver letto Due Vite ho riconsiderato l’idea che il Premio Strega fosse solo l’emblema del riconoscimento concesso da un amico all’altro senza concentrarsi sul vero valore di ciò che viene celebrato. Con Spatriati questa idea ritorna in modo poderoso: per quanto mi riguarda è uno dei peggio libri mai letti.