Recensione Nella terra dei peschi in fiore di Melissa Fu

Che inizio potentissimo quello di Nella terra dei peschi in fiore di Melissa Fu, tradotto in italiano da Barbara Ronca per Editrice Nord dall’originale Peach Blossom Spring. Cino-americana nata e cresciuta negli Stati Uniti e ora trapiantata nel Regno Unito, l’autrice ha narrato le vicende della propria famiglia in quasi un secolo dagli anni ’30 con la continua fuga dagli invasori nipponici passando per la nuova vita a Taiwan in occasione del conflitto tra comunisti e nazionalisti per poi spostarsi oltreoceano negli Usa fino ai giorni nostri, negli ultimi tre quarti della storia. Questo è un classico libro “in discesa” che sfrutta il potente abbrivio iniziale per arrivare al traguardo seppur perdendo un po’ di mordente: rimane comunque una lettura assai consigliata.

Trama di Nella terra dei peschi in fiore in un paragrafo – Cina, vedova del marito morto in battaglia, Meilin e il figlioletto di 4 anni Renshu abbandonano Changsha in fiamme e dicono addio all’amato negozio di antichità: in un continuo peregrinare in fuga prima dai giapponesi e poi dalle lotte tra comunisti e nazionalisti, salpano miracolosamente verso Taiwan dove cercano di costruire un luogo chiamato casa. Renshu perfeziona gli studi universitari negli USA e si costruisce una nuova famiglia, rimanendo sempre in contatto con la madre a Taiwan. L’ultima parte è dedicata alla figlia di Renshu, Lily, alter ego dell’autrice, alla ricerca delle proprie origini e di fare un po’ di chiarezza sulle proprie origini.

Mio padre è morto mentre stavo ancora scrivendo il libro e molti della sua generazione stanno scomparendo. Le loro storie andranno perdute se non vengono raccontate. Non si può più aspettare, sembrava dirmi la storia, il momento è adesso (Melissa Fu a Repubblica)

Sarò sincero: con un prologo così alto e raffinato mi attendevo che tutto il romanzo seguisse a ruota con il medesimo stile, invece sembra quasi che quelle prime pagine rimangano un’opera a se stante, ben recintata e ad atmosfera stagna. Un peccato? In un primo momento credevo di sì, ma poi ho compreso che sarebbe stato impossibile reggere in questo modo le (innumerevoli) vicende di tre generazioni di una famiglia che si sparpaglia ai due lati di un oceano. Melissa Fu decide insomma di scendere ampiamente di quota, con una prosa ordinata che accompagna le successive oltre 400 pagine per mettersi al servizio della narrazione. A freddo, è una scelta saggia, ma è servito un capitolo buono per assorbirla.

La perdita improvvisa di un luogo chiamato casa e delle persone amate, la persistente sensazione di non essere mai al sicuro, l’innata capacità umana di adattarsi anche nelle condizioni più tremende: le tematiche espresse nella prima parte del romanzo sono robuste e vengono affrontate senza inutile pathos aggiunto, i capitoli scorrono veloci perché ci si trova immersi nelle peripezie di Meilin, che mai si arrende e sempre guarda avanti. Se la mamma combatte per riottenere una normalità che ha avuto modo di conoscere, il piccolo Renshu è nato e cresciuto nell’instabilità più totale, nella sopravvivenza ora per ora e questa condizione lo accompagnerà anche una volta ottenuta una casa e un lavoro stabili, mantenendo un atteggiamento sempre sospettoso e all’erta, mai rilassato. Lily si trova così a crescere con un genitore dal misterioso passato, che non si sveste mai di una corazza che alla fine crea una distanza incolmabile con la figlia, con la moglie e anche con la madre.

Nella terra dei peschi in fiore di Melissa Fu

Ho letto la prima parte del romanzo con trasporto, apprezzando il grande lavoro di ricerca dell’autrice, ma l’interesse è andato via via affievolendosi una volta passata la palla a Renshu negli Usa ed è crollato con la parte finale con Lily, molto spesso – purtroppo – noiosa. Peccato, ma è un romanzo da leggere:

Voto: 7

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