Morsi è la seconda fatica letteraria di Marco Peano, che dopo il successo del 2015 con il pluri-premiato L’invenzione della madre (Minimum Fax), si è rimesso alla prova con una storia inaspettata e molto piemontese nella location e anche nel linguaggio. Come credo buona parte dei lettori, anche io sono rimasto sorpreso della svolta della trama già dopo pochi capitoli e ho di certo apprezzato il grosso coraggio dell’autore, anche se all’ultima pagina sono affiorati molti dubbi.
Chi li avesse visti insieme, zaino in spalla, avrebbe pensato a due ragazzini che stanno andando a scuola. Proprio lì erano diretti: nel centro esatto del caos.
Trama di Morsi in un paragrafo – Lanzo Torinese, vacanze di Natale 1996, una ragazzina di nome Sonia si ritrova a casa della nonna “guaritrice” Ada da diversi giorni visto che a scuola è successo un inquietante incidente con protagonista la professoressa Cardone. Un caso non isolato, una sorta di morbo che sembra toccare tutti gli adulti della Valle: Sonia e l’amico Teo si ritrovano invischiati in un incubo misterioso, cercando di capirci/capirsi un po’ di più.
Ho apprezzato di Morsi la scelta di un percorso netto e chiaro, con la messa a fuoco che rimane coerente su Sonia e Teo e sulla presa di coscienza del cambiamento improvviso e sconvolgente della loro quotidianità: un mondo stravolto, che dall’immobilismo stagnante salta a una perdita totale di ogni punto di riferimento, alla sopravvivenza, all’incertezza. Un’evidente allegoria della crescita e del delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza, con la vista già rivolta all’età adulta seppur in un corpo e in una mente ancora bambini. La prima parte del romanzo introduce bene nell’atmosfera, anche se ho percepito un po’ troppo rodaggio nel linguaggio, con una costruzione ripetitiva dei paragrafi e un uso spesso ridondante dei due punti a scopo esplicativo.
Con l’avvento degli avvenimenti horror anche il linguaggio si scioglie, l’autore viaggia più snello e fluido a tutto vantaggio dell’immersione negli avvenimenti. Non ho trovato alcun problema con le parti più splatter, anche perché sono così estreme da risultare stranamente leggere. Peano pesca a piene mani dal lessico piemontese, dialetto che io conosco (ma non parlo) in quanto torinese, ma che mi domando come potrebbe essere apprezzato appieno da lettori di altre regioni visto che non ci sono note né traduzioni a servizio. La conclusione del romanzo è molto rapida, credo avrebbe meritato un po’ più approfondimento.
Sono rimasto aderente alla storia quando leggevo Morsi, che infatti è scivolato via in due serate. Non credo che per me rimarrà un libro memorabile, per quanto mi riguarda me lo ricorderò soprattutto per i paralleli stimolati durante la lettura con i racconti di mio padre quando frequentava (suo malgrado!) quell’istituto salesiano citato più volte, proprio a Lanzo. In definitiva, una lettura gradevole, ma che lascia un velo di insoddisfazione:
Voto: 5/10
Dopo la copertina, qualche ultima riflessione con qualche spoiler, dunque come al solito astenersi se non si è ancora letto il romanzo.

Il grande coraggio di Peano di avventurarsi in una storia con forti connotati horror e splatter patisce un’ultima parte che non chiude molti fili introdotti e un po’ abbandonati. Su tutti, mi ha lasciato molto amaro in bocca la mancanza quasi totale di spiegazione di cosa sia accaduto e perché e come si sia, evidentemente, risolto questo strambo morbo. Tante domande rimangono sospese: quale è stato il destino dei genitori di Sonia? E qual è il senso dietro i riferimenti frettolosissimi ai denti e al dentista?
La fine di un romanzo porta con sé una responsabilità molto importante perché deve risolvere o quantomeno lasciar comprendere/intendere dove i vari sentieri tracciati sono andati/andranno a parare. I finali dovrebbero prendersi il tempo che serve per non lasciare in sospeso questioni fondamentali: in Morsi ciò non avviene, si percepisce troppa fretta di chiudere ed è un gran peccato. Più che non aspettarmi da Marco Peano una storia horror, non mi sarei aspettato una trama confezionata in questo modo da un autore ed editor esperto come lui. Ripeto quindi: un gran peccato.
Infine, una piccola incongruenza: il romanzo è ambientato a cavallo del capodanno 1997, ben prima dell’arrivo in Italia dei Pokémon, quindi è impossibile che la pianta grassa citata da Teo sia chiamata Victreebel in onore del mostriciattolo.